In questi giorni di piena Fase 2 dell’emergenza coronavirus si sta discutendo sul futuro dello sport in Italia ed in particolare di tutta l’attività di base e degli sport “minori” (considerando tali il Calcio dalla Serie C in giù e tutti gli altri sport diversi dal calcio). Infatti abbiamo da un lato la problematica delle strutture che le migliaia di piccole Associazioni Sportive Dilettantistiche dovrebbero utilizzare: probabilmente le palestre scolastiche saranno utilizzate per attività didattica e comunque anche in caso contrario ci sarà la difficoltà relativa alla gestione della sanificazione e del rispetto delle norme anti-covid. Dall’altro c’è un grosso problema di sostenibilità economico-finanziaria di tutte le squadre che devono affrontare dei campionati visto che le sponsorizzazioni latitano ed il tanto richiesto credito d’imposta sulle stesse non è stato inserito nel Decreto Rilancio.

Nonostante il grande impegno del Ministro Spadafora, sembra che per le Istituzioni lo Sport sia qualcosa di secondario, quasi un disturbo nell’attività di gestione corrente del Paese. Eppure se guardiamo all’impatto che lo sport ha sulla nostra comunità da un punto di vista economico e sociale in realtà l’attenzione sulle problematiche ad esso collegate dovrebbe essere altissima.

L’impatto dello Sport sulla salute pubblica

L’attività fisica rappresenta infatti uno dei principali strumenti per la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili, per il mantenimento del benessere psico-fisico e per il miglioramento della qualità della vita, in entrambi i sessi e a tutte le età. Tutti questi elementi impattano indirettamente sul Bilancio dello Stato in quanto permettono una riduzione nel corso del tempo dei costi del Sistema Sanitario Nazionale oltre che dei costi legati alla gestione di quelle fasce di popolazione che necessitano di supporto a causa di comportamenti non in linea con uno stile di vita sano (vedi alcolismo, uso di droghe, ecc.).
Uno studio pubblicato da Mosaic Science nel 2017 ha messo in evidenza il caso dell’Islanda che è riuscita attraverso un programma di ben 20 anni a liberare i suoi teenager dalla dipendenza da alcol e droghe e trasformarli in salutisti. Gli adolescenti abituati a far abuso di alcol e droghe sono passati infatti dal 48% nel 1998 (% tra le più alte in Europa) al 5% nel 2016.
Il Governo islandese, sulla base di uno studio di Harvey Milkman, professore di psicologia americano che insegna all’università di Reykjavik, avviò nel 1998 un programma nazionale di recupero chiamato “Youth in Iceland” che coinvolse sistema scolastico e genitori per quella che divenne una vera e propria rivoluzione culturale. Furono vietate le pubblicità di bevande alcoliche e fumo, l’acquisto di sigarette per i minori di 18 anni e di alcol per i minori di 20 anni. Agli adolescenti di età compresa tra i 13 e i 16 anni fu imposto, inoltre, il coprifuoco alle 10 di sera in inverno e a mezzanotte d’estate. Ma, soprattutto, furono introdotte moltissime attività sportive e artistiche per permettere ai ragazzi di ‘fare gruppo’ e di ottenere quel senso di benessere psico-fisico che normalmente può dare una sostanza stupefacente. Tutti gli adolescenti furono inclusi nel programma, e per i meno facoltosi furono previsti degli incentivi statali. Il risultato fu che tra il 1997 e il 2012 raddoppiò il numero degli adolescenti che praticava sport quattro volte a settimana e che trascorreva più tempo con i genitori. Di pari passo crollò la percentuale di ragazzi che assumevano alcol e droghe.

L’impatto dello Sport sulla Spesa Sanitaria Nazionale

Nel Libro Bianco dello Sport italiano, presentato nel dicembre 2012, viene evidenziato l’impatto della pratica sportiva sulla spesa sanitaria nazionale, derivato dallo studio “Stima del beneficio sociale indotto dalla pratica sportiva”, condotto dall’Università Bocconi per il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI). Considerato che in quell’anno il 60% della popolazione praticava sport, in termini di controvalore economico si è stimato che complessivamente il beneficio annuo che lo Stato ne traeva fosse di circa 1,5 miliardi di euro di risparmio sulla spesa sanitaria nazionale e di circa 32 miliardi di euro di “valore della vita salvaguardato” (ovvero la monetizzazione della mancata produttività e dei danni morali conseguenti all’evento di morte), pari a circa il 2% del PIL. Dall’analisi di sensitività condotta all’interno dello stesso studio sono stati valutati i benefici incrementali derivanti da una variazione dell’1% dell’attività fisico-sportiva pari a circa 80 milioni di euro di risparmio di spesa sanitaria e a circa 1,7 miliardi di euro di “valore della vita salvaguardato”.

L’impatto diretto dello Sport sul PIL

Lo sport ha inoltre anche un impatto diretto sul PIL: nel Libro Bianco dello Sport Italiano si parla di un impatto sul prodotto interno lordo del Paese pari al 1,7%, valore che raddoppia se si tiene conto dell’indotto sportivo. Stando ai dati della Figc, il solo Sistema Calcio (calcio professionistico, Figc, Leghe campionati dilettantistici e giovanili) genera un fatturato complessivo è pari a 4,7 miliardi di euro. Si tratta così di una delle 10 principali industrie italiane: il solo calcio professionistico nel 2017 aveva un impatto sul PIL nazionale pari allo 0,19%.

Alla luce di queste considerazioni, come può il nostro Governo continuare a considerare lo Sport secondario nella programmazione del futuro del nostro Paese?